Presentazione

  

Nasce a Torino nel 1801. Abate, filosofo, teologo, uomo politico, Presidente del Parlamento subalpino (1848). Dopo Novara, ambasciatore a Parigi.
A Bruxelles, nel 1843, pubblica “Del primato morale e civile degli Italiani” dedicato a Silvio Pellico, nel quale sostiene che sebbene l’idea mazziniana di unità politica non fosse realizzabile, esisteva, tuttavia, una razza italiana unita da vincoli di sangue, di religione e di lingua, e che la guida di questa comunità era il Papa.
Pur non avendo grande fiducia nella politica pontificia, Gioberti tenne per sé questa sua intima convinzione, in quanto si rivolgeva a un pubblico che doveva includere anche uomini politici conservatori, per cui ottenne il permesso di diffondere in Italia un libro che riconciliava patria e religione; così il patriottismo divenne lecito e fu argomento di pubblica discussione invece che di furtive cospirazioni.
In seguito, Gioberti attaccò i Gesuiti e la Curia; ma fu il suo appello alla guida morale del Papato ad essere ricordato, e il tema del “primato” degli Italiani contribuì a infondere la fiducia necessaria, per affrontare la rivoluzione politica.
La vera difficoltà, secondo Gioberti, stava nel fatto che gli Italiani, nonostante la loro potenziale capacità di porsi alla guida dell’Europa, erano un popolo troppo “inerte ed imbelle”: troppo pronti a gettare sui Governi stranieri la colpa della loro situazione, per non incolpare se stessi, e per non passare all’azione.
Ponendo l’accento sulla necessità di fare da sé e di aver fiducia in se stessi, Gioberti portava avanti una fondamentale opera di educazione nazionale.
Con “Il primato morale e civile degli Italiani” Gioberti diede una formulazione precisa e definitiva all’ideale neo-guelfo, propugnando la conciliazione tra le istanze nazionali atttraverso una confederazione di Stati italiani, presieduta dal Papa. Lo stesso Mazzini annunziò che avrebbe appoggiato il Papa nel suo ruolo di guida di un’Italia unita e indipendente.
Dopo la prima guerra di indipendenza il moto unitario federativo e democratico fallì, e con esso il programma del neo-guelfismo, mentre cominiciò a farsi strada la dottrina di Cesare Balbo, favorevole alle coraggiose iniziative del re Carlo Alberto. Il Gioberti vi aderì, sconfessando il neo-guelfismo (“Il rinnovamento civile degli Italiani”). Esiliato a Parigi, vi morì nel 1852.
Contro il Cattolicesimo liberale di Gioberti, i Gesuiti sostenevano che il liberalismo discendeva dal Protestantesimo ed era inconciliabile con la vera religione. Da quel momento il movimento risorgimentale sarebbe rimasto affidato agli anticlericali, con corrispondente pregiudizio sia per la Chiesa sia per lo Stato. I fatti gli daranno ragione.